Bacco e Venere: il legame tra vino, sensualità e piacere nella storia

Storie, poesie e tradizioni che intrecciano vino e amore, dall’antichità alla modernità.

Nel corso dei secoli, il vino ha sempre esercitato un fascino magnetico, non solo come bevanda sacra o conviviale, ma come potente alleato del desiderio, del piacere e della seduzione. Il suo colore, il suo profumo, la sua capacità di sciogliere le parole e i corpi, lo rendono da sempre il complice prediletto degli amanti. Non a caso, la storia culturale dell’Occidente ha intrecciato le sorti del vino con quelle dell’amore, incarnando questo legame nelle figure archetipiche di Bacco e Venere, simboli eterni di estasi, bellezza e passione.

Nella mitologia greco-romana, Dioniso (che i Romani chiamavano Bacco) è il dio del vino, dell’ebbrezza mistica e dell’abbandono ai sensi. Figlio illegittimo di Zeus e della mortale Semele, Dioniso incarna una forza primordiale, caotica, liberatrice. È il dio che spezza le convenzioni, che scioglie i vincoli dell’identità e della ragione, conducendo uomini e donne – attraverso il vino – in uno stato di trance collettiva. Non è un caso che i suoi culti misterici, diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo, fossero permeati da riti estatici, danze notturne, maschere e orge sacre: la perdita di sé, sotto l’effetto del vino, era vista come via per unirsi al divino.

A fianco a lui, nelle rappresentazioni artistiche e nei miti, appare spesso Afrodite, dea dell’amore e della sensualità, identificata dai Romani con Venere. Anche lei figlia di una nascita singolare – emersa dalla spuma del mare –, Venere regna sul desiderio carnale, sull’attrazione erotica, sulla bellezza che incanta e disarma. È proprio nell’intreccio simbolico tra Dioniso e Afrodite che nasce una visione del piacere come forza creatrice e trasformatrice. Il vino e l’amore, insieme, dissolvono il confine tra corpo e spirito, tra umano e divino.

Questa connessione tra vino e seduzione trova la sua celebrazione più concreta nel simposio greco, quel rituale conviviale che univa il piacere della conversazione filosofica a quello della bevuta condivisa. Nelle opere di Platone, il simposio è luogo di dialogo sull’amore, ma anche teatro di sguardi, di intimità, di tensioni erotiche. Ogni coppa versata rompe un’inibizione, alimenta una confidenza, accende un desiderio. I Romani ereditarono questa usanza, trasformandola nei sontuosi banchetti in cui il vino scorreva a fiumi e l’intrattenimento era affidato a danzatrici, poeti, musici, amanti. Petronio, nel Satyricon, ci racconta con sarcasmo e sensualità queste cene sregolate, in cui il confine tra gola e lussuria si faceva sempre più labile. E Ovidio, nei suoi Amores, suggerisce senza troppi veli che l’ebbrezza aiuta l’arte della seduzione, rendendo il corpo più audace e la parola più leggera.

Nel Medioevo, nonostante il rigore morale imposto dalla Chiesa, il vino non perse il suo ruolo simbolico nel campo amoroso. La poesia cortese dei trovatori, nata nelle corti del Sud della Francia e diffusa poi in tutta Europa, celebrava un amore raffinato, idealizzato, ma non per questo privo di ardore. Nei versi di Bernart de Ventadorn o Arnaut Daniel, il vino appare come metafora dell’ebbrezza d’amore, della dolcezza che inebria l’animo. Nei romanzi cavallereschi, il calice offerto da una dama non è mai un gesto neutro: è promessa, tentazione, prova di fedeltà o inizio di un incantesimo. Persino nei testi religiosi si conservano tracce di questa simbologia: il Cantico dei Cantici, allegoria mistica dell’amore divino, è anche un tripudio di sensualità e immagini enologiche.

Con il Rinascimento, il vino torna protagonista di una cultura che celebra i sensi, la bellezza del corpo, il piacere terreno. I dipinti di Tiziano, di Giorgione, di Caravaggio traboccano di calici ricolmi, corpi nudi, grappoli d’uva che richiamano il seno femminile o il desiderio maschile. Nelle poesie di Lorenzo de’ Medici, il vino è gioia di vivere, fuoco che accende il cuore e il letto. L’uomo rinascimentale, figlio di Bacco e discepolo di Venere, non teme di unire l’intelletto al godimento, l’arte alla carne, la parola al bacio. Anche nelle nature morte o nei banchetti raffigurati da pittori fiamminghi, ogni coppa è promessa di estasi, ogni tavola un altare sensuale.

Non meno affascinante è il gesto del brindisi, che nei secoli si è caricato di significati magici, erotici e sociali. Alzare il calice insieme a un’altra persona è un rito di fiducia, ma anche di seduzione. Nelle antiche nozze contadine, il primo brindisi tra sposi aveva valore di giuramento carnale. In alcune zone d’Europa si credeva che chi non brindava con la persona amata ne avrebbe perso il cuore. Anche oggi, il brindisi resta un gesto potentemente simbolico: tra due innamorati, è preludio d’intimità; tra sconosciuti, è invito al gioco del possibile.

Così, tra mito e storia, tra versi e dipinti, tra cene e baci rubati, il vino continua a fluire come un fiume rosso di piacere. E nel suo fluire, Bacco e Venere, antichi complici del desiderio, continuano a sorridere.

Non è un caso che molte culture abbiano cercato nel vino non solo il conforto, ma anche l’accensione del desiderio. Sin dall’antichità, il vino non è stato solo bevanda conviviale o sacrale, ma anche elisir afrodisiaco, capace di risvegliare i sensi e predisporre all’amore. L’aggiunta di spezie esotiche e miele trasformava il vino in una pozione sensuale, destinata a sciogliere le inibizioni e a stimolare il piacere. Il vino ippocratico, già noto nell’antica Grecia e poi diffuso nell’Europa medievale, era arricchito con cannella, chiodi di garofano, zenzero e altre spezie calde. Non solo esaltava il gusto e la persistenza al palato, ma prometteva di risvegliare l’ardore. Così come il claret, vino aromatizzato inglese in voga tra il XIII e il XVI secolo, mescolava vino rosso con erbe e spezie e veniva spesso offerto durante i banchetti nuziali. In questi vini speziati, la sensualità non era un sottotesto: era dichiarata, cercata, evocata come un effetto quasi magico, capace di trasformare una bevuta in preludio d’amore.

Questa funzione seduttiva del vino ha trovato piena espressione anche nella letteratura erotica e nei romanzi moderni. Ne L’Amante di Marguerite Duras, il vino si insinua come un filo liquido tra la pelle e le emozioni, segnando i momenti in cui i corpi si avvicinano e si svelano. Il vino non è mai neutro: è complice silenzioso di una tensione che cresce, si carica di ambiguità, e trova sfogo in un bicchiere condiviso al crepuscolo. Lo stesso accade ne Il Grande Gatsby di Fitzgerald, dove lo champagne è simbolo di un’epoca dorata, sfrenata, ma anche profondamente malinconica. I personaggi brindano a sé stessi, ai propri desideri, alle illusioni che li muovono. Ma dietro ogni bollicina si cela il sogno di un amore perduto o mai raggiunto. Nei romanzi del Novecento, il vino è quasi sempre associato all’inizio di qualcosa: di una conversazione sussurrata, di un contatto più ardito, di una serata che potrebbe trasformarsi in notte.

Parallelamente, la pubblicità ha intuito da tempo la forza evocativa di questo legame tra vino e seduzione. Già nella Belle Époque, le affiches di Mucha e Cappiello dipingevano donne sinuose, dai capelli fluenti, avvolte da vapori di vino e di desiderio. Il vino era femminile, sensuale, profumato. Era promessa di piacere. Nel secondo dopoguerra, con l’esplosione del marketing moderno, il legame tra vino e corpo femminile è diventato sempre più esplicito: etichette seducenti, slogan ammiccanti, calici accostati a labbra rosse e sguardi maliziosi. Il vino viene proposto come esperienza di lusso, ma anche come invito alla trasgressione elegante. Ancora oggi, in molti spot e campagne pubblicitarie, il vino è meno bevanda e più atmosfera: un gesto lento, un abito scollato, una luce soffusa. Il corpo e il vino si fondono in un’estetica che ha il sapore del desiderio.

Ma cosa accade davvero quando il vino entra nelle dinamiche amorose contemporanee? Da un punto di vista psico-sociale, il vino continua a giocare un ruolo importante nei rituali di seduzione. La sua capacità di abbassare le barriere, di favorire la conversazione, di rallentare il tempo, lo rende uno strumento privilegiato dell’intimità. Non si tratta solo di alcol e disinibizione, ma di un linguaggio non verbale fatto di gesti, di aromi, di complicità. Condividere una bottiglia è un atto che crea spazio: spazio per l’ascolto, per il tocco, per il non detto. Nella nostra epoca, in cui il tempo è frammentato e i rapporti spesso veloci, il vino invita a rallentare, ad assaporare. È un invito alla presenza reciproca. Anche nei rapporti nati online, sempre più spesso il primo incontro reale si consuma davanti a un calice: è un ponte, un terreno neutro ma carico di potenzialità emotive.

Ecco allora che, in un mondo dominato dalla fretta, la degustazione per due può diventare un rito intimo, sensoriale, quasi liturgico. Scegliere insieme un vino, versarlo con cura, osservarne il colore, sentirne il profumo, assaporarlo lentamente: tutto questo non è solo degustazione, ma seduzione raffinata. Vini morbidi, vellutati, con note floreali o speziate, sono particolarmente adatti a queste occasioni. Un Pinot Noir per la sua eleganza e delicatezza, un Gewürztraminer per la sua aromaticità intrigante, un Primitivo per la sua intensità avvolgente, o uno Champagne rosé per l’atmosfera di festa e complicità. Non si tratta di cercare l’ubriachezza, ma l’accordo perfetto tra i sensi, una sinfonia condivisa tra palato e pelle.

Nel vino, l’amore trova non solo un alleato, ma un linguaggio. Un linguaggio che attraversa i secoli e continua, oggi come allora, a raccontare storie di sguardi accesi, parole sospese e notti da ricordare. Bacco e Venere, se potessero brindare insieme, lo farebbero proprio così.

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